Marco Valerio MARZIALE (39-104)

Vita e opere


Marco Valerio Marziale nacque in Spagna, a Bilbis, il 1 marzo del 39 da una famiglia non molto agiata; comunque poté studiare e nel 64 venne a Roma perché annoiato dalla vita provinciale e perché desideroso di fare fortuna. In quei tempi alcuni suoi connazionali (gli Annei) erano molto potenti in Roma e Marziale sperava di poter essere aiutati da questi: fu molto sfortunato; i suoi possibili protettori, infatti, furono sterminati dopo la congiura di Pisone. Segue un periodo oscuro della sua vita, una specie di vuoto che va fino all'80. Nel frattempo dovrebbe essere vissuto a Roma dove per tirare avanti faceva l'ingrato e avvilente mestiere del cliente: vita piuttosto grama, dunque. Riappare sotto Tito nell'80, anno di inaugurazione del Colosseo. In quell'occasione si celebrano grandi feste e giochi; il nostro poeta ebbe l'idea di comporre un libretto di epigrammi sugli spettacoli che subito piacque. In virtù di questo, Tito gli concesse, benché scapolo, il diritto dei tre figli, cioè l'esenzione delle tasse per chi aveva tre o più figli.

Sulla scia del suo successo, nell'84 pubblica altri due libri: in uno ci sono epigrammi per accompagnare i doni nei Saturnali (Xenia), l'altro per accompagnare i doni degli ospiti che vanno via. In questi libretti non c'è poesia e quasi non se ne dovrebbe parlare se non fosse perché attraverso questi, Marziale si "andava facendo la mano" per i maggiori epigrammi successivi.
Il poeta, poi, pubblicò altri 12 libri di epigramma (Epigrammata), uno ogni anno dall'85 al 96: piacque al pubblico, ebbe onori (fu fatto cavaliere), ma non ebbe ricchezze.

Nel 96 morì Domiziano e gli successe l'anziano Cocceo Nerva. Marziale cercò di accattivarsene i favori dedicandogli alcuni epigrammi che evidentemente non furono ben accetti. Nel 98 Nerva adottò e designò come successore il grande generale Marco Ulpio Traiano. Il poeta, allora, ritornò in patria perché intuì che i tempi della popolarità  erano finiti. In Spagna Marziale conobbe una vedova di nome Marcella che gli regalò una villa e un podere; egli gustò così un po' di quiete, come ebbe a scrivere a Giovenale, anche se in molti epigrammi confessa di rimpiangere il suo pubblico.
Marziale rimase a Bilbis dove morì nel 104.

Giudizio


Marziale fu un uomo che sbagliò sempre, che fu sempre deluso: voleva la gloria e l'ottenne, ma si accorse che essa non portava ricchezza; voleva farsi capire o almeno comprendere i contemporanei, ma non ci riuscì; molte volte cerca la poesia sincera ed al suo posto deve trovare parole per guadagnarsi un protettore che gli dia qualcosa per vivere. Non poté mai giungere alla perfezione perché la sua poesia è inquinata da meschine preoccupazioni materiali e quindi l'epigramma diventa un gioco di parole, di bravura che vuol superare le difficoltà  tecniche. Nonostante tutto, egli deve ritenersi l'unico vero poeta dell'età  dei Flavi.

Sull'opera e sulla figura di Marziale si hanno pareri molto discordi; nessuno, però, gli toglie quella maestria nello scrivere un epigramma che con lui acquista il significato che oggi gli attribuiamo e cioè di una satira breve e pungente. Alcuni sminuiscono troppo questo poeta, altri lo esaltano eccessivamente, ma a noi interessa di più sapere chi è l'uomo contemplato da Marziale: insomma egli è realista o no?

I personaggi contro cui sembra pigliarsela (tutti nomi fittizi che Marziale usava per non avere grane) sono funzionari o industriali arricchitisi in modo disonesto, pervertiti, effeminati, cacciatori di dote. Per essere realistico, bisognava che tutta la società  romana fosse così. Dal momento che non lo era, la sua è solo una visione molto parziale delle cose. Marziale fa satira sociale quando parla della sua povertà  o dell'altrui ricchezza, ma lo fa senza avere una coscienza sociale. Egli non vuole abolire le classi, ma vorrebbe salire ad un livello più alto; non può, ma accetta questa divisione. Di certo l'opera resta una testimonianza dei costumi di una parte della società  del suo tempo.

Il Letterato


Marziale, in ogni modo, è anche poeta e la sua poesia la si trova nella speranza di quiete e nel desiderio di ritornare in patria; nella descrizione dei poderi, poi, non è di molto inferiore allo stesso Virgilio. Ma come giudicare Marziale? Egli si mette subito contro gli altri poeti del tempo, contro la loro letteratura accademica che tratta i grandi temi epici in forma solenne e magniloquente. Per i suoi contemporanei gli epigrammi sono passatempi, ma Marziale capisce che l'epica di allora è priva dei contenuti umani e quindi non ha più niente da cominciare al pubblico. Ed effettivamente anche se non vengono lodati, si leggono proprio gli scritti che risentono di un impegno sul piano etico - politico - storico come quelli di Lucano e Persio e, soprattutto quelli che hanno un impegno sul piano della realtà  umana. E così anche gli epigrammi di Marziale, che sanno di uomo e dipingono dal vivo usi e costumi della società , vanno a ruba.

L'uomo


Come uomo, nonostante tutto, Marziale non si piega a compromessi: benché cliente, vuole essere libero. Negli ultimi anni dell'impero di Domiziano molti si arricchirono facendo i delatori presso l'imperatore; Marziale avrebbe potuto fare lo stesso o almeno mettere la sua penna a disposizione del sovrano, ma non volle.
Nei suoi versi lo vediamo come un uomo inquieto interiormente; in essi riversa le sue illusioni e le sue speranze, lo scontento della sua vita, la misera condizione di cliente. Sente che il tempo fugge, vorrebbe vivere intensamente la vita, ma è perennemente incerto e inquieto. A volte sembra stanco e abbattuto, è triste per il suo stato di vita e, come capita in questi casi, ha una grande voglia di dormire: vuole la pace e la tranquillità  del suo paese. Ritorna in patria, ma lo aspetta ancora una delusione: non torna come trionfatore o persona importante; ancora una volta non ha trovato il mondo che cercava e, avvilito, vuol vivere e non riesce a vivere. E così torna ad invocare il sonno come unico rimedio alla noia della vita, ma forse con il sonno identifica la morte.



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