PINDARO (ca 522 a.C. - 438 a.C.)
Di Pindaro ci restano quattro antiche biografie contenenti, fra l'altro, poche notizie sicure e parecchie leggende cui la figura del poeta aveva dato luogo.
Pindaro nacque a Cinocefale, in Beozia, nel 522 (o 518) a.C.. Sicuramente rampollo di una famiglia aristocratica, il poeta, com'era abitudine dei nobili del suo tempo, completò la sua educazione ad Atene. Per meglio comprendere la vita e l'attività poetica di questo grandissimo lirico, conviene subito precisare che le stesse vanno collocate nell'età e nella tipologia arcaica della poesia greca, quando feste religiose, ricorrenze politiche e gare atletiche erano solennizzate con inni in lode di città , di divinità e di campioni sportivi.
Pindaro iniziò la sua attività artistica nel 498 a.C., con la X Pitica, scritta per un giovinetto, legato alla dinastia tessalica degli Alevadi, vincitore della corsa a piedi.
La professione di poeta ben presto portò Pindaro a viaggiare molto e ad entrare in contatto con i più importanti centri del potere e della cultura sia nella Grecia vera e propria, sia fuori di questa, in pareticolare nella Magna Grecia.. Bisogna ricordare, però, che il poeta rimase sempre molto legato alla sua patria, la Beozia.
La prima parte della produzione di Pindaro è legata soprattutto ai culti sacri, ma di essa, purtroppo, ne siamo scarsamente informati. Del 490 a.C., in ogni modo, è il peana cantato per una festa religiosa a Delfi. Nello stesso anno, Pindaro strinse rapporti con uno degli uomini più potenti dell'epoca, Terone, tiranno di Agrigento, scrivendo la VI Pitica per un suo fratello, vincitore nella corsa dei carri. Nel 480 a.C., quando i Persiani, comandati dal re Serse, invasero la Grecia, Tebe scelse la neutralità ed in Beozia addirittura nacque e fu forte un partito filo persiano. Per questo motivo, dopo la definitiva vittoria greca del 479 a.C., Pindaro, che era in stretta relazione con gli aristocratici del partito filo persiano, ne subì le conseguenze. Nel 476 a.C. lo troviamo di nuovo in Sicilia, dove scrive le prime tre Olimpiche in onore di Gerone di Siracusa e di Terone di Agrigento. Nelle splendide corti siciliane, Pindaro incontrò i poeti Bacchilide e Simonide di Ceo con i quali, molto probabilmente, polemizzò.
Quando tornò in Grecia, verso il 474 a.C., Pindaro era ormai ricco e famoso. Da ogni città greca gli giungevano richieste di opere ed anche i legami con le corti siciliane erano rimasti abbastanza stretti: ancora nel 470 a.C., infatti, scriveva la I Pitica per la vittoria col carro di Gerone a Delfi. Dello stesso anno è, probabilmente, il ditirambo in lode di Atene, che esalta, definitivamente, il ruolo avuto da questa città nella difesa dell'indipendenza greca. Quando scomparve Gerone e le grandi tirannidi siciliane si eclissarono, Pindaro trovò altri committenti a Cirene, da parte del re Telesicrate, a Rodi, a Corinto e in Macedonia. Il quadro politico della Grecia, intanto, si andava oscurando con le lotte tra città vicine un tempo alleate; anche la Beozia fu per un decennio sottoposta alla dominazione ateniese. Di tutto questo ci sono tracce nella produzione finale di Pindaro.
La morte lo sorprese nel 438 a.C. ad Argo: secondo la tradizione, Pindaro si spense dolcemente, reclinando il capo sulle ginocchia del giovane Teosseno di Tenedo, da lui cantato nell'XI Nemea.
Tutta la produzione di Pindaro fu radunata e sistemata dagli studiosi alessandrini, in particolare da Aristofane di Bisanzio. Questi divise le poesie del grande lirico secondo gli schemi metrici e le pubblicò raggruppandole in 17 libri: 12 per le poesie che si riferivano a culti sacri (inni agli dei, peani, prosodi, parteni, iporchemi), un libro di encomi e quattro di epinici.
A noi sono giunti per intero solo questi ultimi quattro che contengono 44 epinici (14 Odi Olimpiche, 12 Pitiche, 11 Nemee, 7 Istmiche) che, dedicati a personaggi illustri, celebrano vittorie nei giochi panellenici. Il loro contenuto è molto specifico, ma i frammenti delle altre opere che ci sono giunti, da ultimo e spesso per via papiracea, mostrano che sono abbastanza tipici dello stile del poeta in tutta la sua produzione. Ciò si deve alla particolare atmosfera sacrale in cui visse e operò Pindaro, che vi innestò il motivo agonistico: la vittoria atletica è un'occasione, anch'essa religiosa, in cui si dimostra la virtù umana e la possibilità di un raggiungimento, sia pure temporaneo, della felicità divina attraverso il valore. Le strutture di questi inni presentano alcuni elementi quasi costanti. All'inizio sono rievocate la patria, la famiglia, il passato sportivo del dedicatario; segue un episodio mitico, che occupa in generale una parte piuttosto cospicua dell'intera ode e che è inserito prendendo spunti a volte molto occasionali (il luogo della vittoria, circostanze biografiche, esemplificazioni); si riprende, infine, il motivo iniziale, con lodi del dio. Il tutto è inframmezzato da frequenti massime (la "gnome"), altrettanti momenti sentenziosi in cui il poeta esprime la sua religiosità , la sua funzione artistica, le leggi sacre della vita.
Fra tutti gli elementi che abbiamo visto presenti nelle odi di Pindaro, non è sempre facile trovare i nessi del canto. La critica pindarica si è spesso divisa tra chi sente e afferma un'unità intrinseca, non certo logica ma d'ispirazione, e chi sostiene piuttosto il procedere irrazionale se non la casualità dell'inno. In realtà , pur tra sbalzi impressionanti, una rigorosa e ferma convinzione ideale regge tutta l'opera pindarica e discende dalla visione aristocratica dei valori della vita e del sistema religioso che caratterizza piuttosto l'età arcaica della Grecia e non quella che si andava annunciando o già si andava diffondendo negli anni della vita di Pindaro. Fondamento di questa ideologia è la concezione del valore come prodotto innato ed ereditario della natura di ciascun uomo; l'educazione può temprare, ma non inculcare la virtù in chi non la possiede per natura. Il mito non è che l'esemplificazione di questa virtù, sublimata negli eroi, così come la tenzone atletica, che mette al cimento le qualità dell'uomo, ne è la dimostrazione. Da parte sua, il poeta si affianca al vincitore eternandone le qualità e le gesta col suo canto. Il profondo spirito religioso che presiede a tale visione delle opere umane rientra o si dilata in una visione totale del mondo retto da un dio giusto e perfetto e pieno delle sue misteriose epifanie. Il grande afflato della poesia di Pindaro sorge dalla sua immersione in questi alti e profondi concetti. Ne risentono la sua vorticosa ispirazione, lo stile a passaggi rapidi e intensi (i famosi "voli pindarici"), l'ampio e sinuoso periodare, la ricchezza del colorito e dell'ornamentazione, la luminosità o l'arditezza delle metafore e delle analogie.
La lingua della poesia di Pindaro è quella letteraria tipica della lirica corale: risente dell'epica, ha elementi dorici ed eolici. La metrica si fonda sulla successione di strofe isolate o di triadi composte di una strofa, un'antistrofa e un apodo, con l'uso di tutti i tipi di versi lirici.
Poco apprezzato nella Grecia classica sia per le sue posizioni conservatrici in politica, in morale e in religione, sia per l'oscurità e la concettosità della sua poesia, Pindaro conobbe migliore fortuna in età alessandrina; tra i Romani, fu suo grande ammiratore Orazio.
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editus ab
Di Pindaro ci restano quattro antiche biografie contenenti, fra l'altro, poche notizie sicure e parecchie leggende cui la figura del poeta aveva dato luogo.
La vita
Pindaro nacque a Cinocefale, in Beozia, nel 522 (o 518) a.C.. Sicuramente rampollo di una famiglia aristocratica, il poeta, com'era abitudine dei nobili del suo tempo, completò la sua educazione ad Atene. Per meglio comprendere la vita e l'attività poetica di questo grandissimo lirico, conviene subito precisare che le stesse vanno collocate nell'età e nella tipologia arcaica della poesia greca, quando feste religiose, ricorrenze politiche e gare atletiche erano solennizzate con inni in lode di città , di divinità e di campioni sportivi.
Pindaro iniziò la sua attività artistica nel 498 a.C., con la X Pitica, scritta per un giovinetto, legato alla dinastia tessalica degli Alevadi, vincitore della corsa a piedi.
La professione di poeta ben presto portò Pindaro a viaggiare molto e ad entrare in contatto con i più importanti centri del potere e della cultura sia nella Grecia vera e propria, sia fuori di questa, in pareticolare nella Magna Grecia.. Bisogna ricordare, però, che il poeta rimase sempre molto legato alla sua patria, la Beozia.
La prima parte della produzione di Pindaro è legata soprattutto ai culti sacri, ma di essa, purtroppo, ne siamo scarsamente informati. Del 490 a.C., in ogni modo, è il peana cantato per una festa religiosa a Delfi. Nello stesso anno, Pindaro strinse rapporti con uno degli uomini più potenti dell'epoca, Terone, tiranno di Agrigento, scrivendo la VI Pitica per un suo fratello, vincitore nella corsa dei carri. Nel 480 a.C., quando i Persiani, comandati dal re Serse, invasero la Grecia, Tebe scelse la neutralità ed in Beozia addirittura nacque e fu forte un partito filo persiano. Per questo motivo, dopo la definitiva vittoria greca del 479 a.C., Pindaro, che era in stretta relazione con gli aristocratici del partito filo persiano, ne subì le conseguenze. Nel 476 a.C. lo troviamo di nuovo in Sicilia, dove scrive le prime tre Olimpiche in onore di Gerone di Siracusa e di Terone di Agrigento. Nelle splendide corti siciliane, Pindaro incontrò i poeti Bacchilide e Simonide di Ceo con i quali, molto probabilmente, polemizzò.
Quando tornò in Grecia, verso il 474 a.C., Pindaro era ormai ricco e famoso. Da ogni città greca gli giungevano richieste di opere ed anche i legami con le corti siciliane erano rimasti abbastanza stretti: ancora nel 470 a.C., infatti, scriveva la I Pitica per la vittoria col carro di Gerone a Delfi. Dello stesso anno è, probabilmente, il ditirambo in lode di Atene, che esalta, definitivamente, il ruolo avuto da questa città nella difesa dell'indipendenza greca. Quando scomparve Gerone e le grandi tirannidi siciliane si eclissarono, Pindaro trovò altri committenti a Cirene, da parte del re Telesicrate, a Rodi, a Corinto e in Macedonia. Il quadro politico della Grecia, intanto, si andava oscurando con le lotte tra città vicine un tempo alleate; anche la Beozia fu per un decennio sottoposta alla dominazione ateniese. Di tutto questo ci sono tracce nella produzione finale di Pindaro.
La morte lo sorprese nel 438 a.C. ad Argo: secondo la tradizione, Pindaro si spense dolcemente, reclinando il capo sulle ginocchia del giovane Teosseno di Tenedo, da lui cantato nell'XI Nemea.
Le opere
Tutta la produzione di Pindaro fu radunata e sistemata dagli studiosi alessandrini, in particolare da Aristofane di Bisanzio. Questi divise le poesie del grande lirico secondo gli schemi metrici e le pubblicò raggruppandole in 17 libri: 12 per le poesie che si riferivano a culti sacri (inni agli dei, peani, prosodi, parteni, iporchemi), un libro di encomi e quattro di epinici.
A noi sono giunti per intero solo questi ultimi quattro che contengono 44 epinici (14 Odi Olimpiche, 12 Pitiche, 11 Nemee, 7 Istmiche) che, dedicati a personaggi illustri, celebrano vittorie nei giochi panellenici. Il loro contenuto è molto specifico, ma i frammenti delle altre opere che ci sono giunti, da ultimo e spesso per via papiracea, mostrano che sono abbastanza tipici dello stile del poeta in tutta la sua produzione. Ciò si deve alla particolare atmosfera sacrale in cui visse e operò Pindaro, che vi innestò il motivo agonistico: la vittoria atletica è un'occasione, anch'essa religiosa, in cui si dimostra la virtù umana e la possibilità di un raggiungimento, sia pure temporaneo, della felicità divina attraverso il valore. Le strutture di questi inni presentano alcuni elementi quasi costanti. All'inizio sono rievocate la patria, la famiglia, il passato sportivo del dedicatario; segue un episodio mitico, che occupa in generale una parte piuttosto cospicua dell'intera ode e che è inserito prendendo spunti a volte molto occasionali (il luogo della vittoria, circostanze biografiche, esemplificazioni); si riprende, infine, il motivo iniziale, con lodi del dio. Il tutto è inframmezzato da frequenti massime (la "gnome"), altrettanti momenti sentenziosi in cui il poeta esprime la sua religiosità , la sua funzione artistica, le leggi sacre della vita.
Giudizio
Fra tutti gli elementi che abbiamo visto presenti nelle odi di Pindaro, non è sempre facile trovare i nessi del canto. La critica pindarica si è spesso divisa tra chi sente e afferma un'unità intrinseca, non certo logica ma d'ispirazione, e chi sostiene piuttosto il procedere irrazionale se non la casualità dell'inno. In realtà , pur tra sbalzi impressionanti, una rigorosa e ferma convinzione ideale regge tutta l'opera pindarica e discende dalla visione aristocratica dei valori della vita e del sistema religioso che caratterizza piuttosto l'età arcaica della Grecia e non quella che si andava annunciando o già si andava diffondendo negli anni della vita di Pindaro. Fondamento di questa ideologia è la concezione del valore come prodotto innato ed ereditario della natura di ciascun uomo; l'educazione può temprare, ma non inculcare la virtù in chi non la possiede per natura. Il mito non è che l'esemplificazione di questa virtù, sublimata negli eroi, così come la tenzone atletica, che mette al cimento le qualità dell'uomo, ne è la dimostrazione. Da parte sua, il poeta si affianca al vincitore eternandone le qualità e le gesta col suo canto. Il profondo spirito religioso che presiede a tale visione delle opere umane rientra o si dilata in una visione totale del mondo retto da un dio giusto e perfetto e pieno delle sue misteriose epifanie. Il grande afflato della poesia di Pindaro sorge dalla sua immersione in questi alti e profondi concetti. Ne risentono la sua vorticosa ispirazione, lo stile a passaggi rapidi e intensi (i famosi "voli pindarici"), l'ampio e sinuoso periodare, la ricchezza del colorito e dell'ornamentazione, la luminosità o l'arditezza delle metafore e delle analogie.
Lingua e stile
La lingua della poesia di Pindaro è quella letteraria tipica della lirica corale: risente dell'epica, ha elementi dorici ed eolici. La metrica si fonda sulla successione di strofe isolate o di triadi composte di una strofa, un'antistrofa e un apodo, con l'uso di tutti i tipi di versi lirici.
Fortuna
Poco apprezzato nella Grecia classica sia per le sue posizioni conservatrici in politica, in morale e in religione, sia per l'oscurità e la concettosità della sua poesia, Pindaro conobbe migliore fortuna in età alessandrina; tra i Romani, fu suo grande ammiratore Orazio.
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