TUCIDIDE (Atene ca. 460-ca. 395 a. C.)
Le notizie più certe sulla vita di Tucidide si ricavano direttamente dalla sua opera; altre, però, sono state tramandate da due biografie di scarso valore. Suo padre, forse di origine tracia, si chiamava Oloro ed era un cittadino molto facoltoso per il possesso di miniere d'oro.
Eletto nel collegio degli strateghi nel 424 a.C., Tucidide fu inviato a difendere l'Egeo settentrionale, ma non riuscì a salvare Anfipoli, nella Penisola Calcidica, dall'attacco dello spartano Brasida. Per questo motivo venne esiliato da Atene e non vi tornò che 20 anni dopo, quando la guerra con Sparta era ormai finita.
Tucidide morì pochi anni dopo il rientro in patria, verso il 395 a.C..
L'opera di Tucidide consiste di 8 libri e non ha un titolo vero e proprio. L'argomento è la guerra detta "del Peloponneso", fra Sparta ed Atene, guerra che si propagò anche in altri territori, come ad esempio la Sicilia.
Tucidide, prendendo le mosse molto più addietro, descrive le condizioni originarie dei Greci e la formazione delle diverse città attraverso un lungo processo storico, cercando "la certezza" delle notizie. Per gli avvenimenti contemporanei si serve di ricerche personali e di testimonianze autentiche; per quelli passati, quando non esistono documenti, usa la congettura per arrivare ad una probabilità , se non alla certezza. Nel fornire successivamente le cause dello scoppio della guerra, Tucidide dà un'altra importante distinzione fra le cause occasionali, da ricercare soprattutto nel contrasto tra Corcira e Corinto, e la causa vera della rottura della pace, che fu la necessità per Sparta di bloccare l'eccessivo accrescimento della potenza ateniese.
Col II libro, e con l'anno 431 a.C., inizia la narrazione vera e propria dell'argomento. Il libro comprende 3 anni di guerra; alla fine del primo anno è posto il famoso discorso di Pericle per i caduti; segue l'altrettanto famosa descrizione della peste che colpì Atene (e di cui fu affetto lo stesso Tucidide).
Altri 3 anni sono narrati nel III e nel IV libro, mentre continua l'invasione spartana dell'Attica e avviene quella della Calcidica, e varie operazioni sono condotte dagli Ateniesi nelle isole.
Il V libro narra la Pace di Nicia, che doveva durare 50 anni. Tucidide, però, approfondendo la sua analisi, mostra come essa fosse la semplice interruzione (per 6 anni, quanti in effetti durò la pace) di una contesa che anzi andava sempre più allargandosi. Nel V libro lo storico descrive, fra l'altro, l'azione ateniese contro la piccola isola di Melo e sottolinea in quell'episodio brutale la logica e la dinamica di una potenza imperialistica. Il VI e VII libro, tra i più celebrati dell'opera, sono dedicati alla spedizione ateniese contro Siracusa durante gli anni 415-413 a.C. e alla sua tragica conclusione.
L'VIII libro mostra le conseguenze della guerra del Peloponneso, con le varie defezioni degli alleati e alcuni eventi favorevoli ad Atene, che sembrano ridare corpo alle sue speranze di ripresa. Al capitolo 109 di questo libro l'opera si interrompe; ed è anche da notare che il libro stesso, a differenza di quelli che lo precedono, con l'eccezione del V, manca di discorsi diretti, tipico espediente tucidideo per esporre i pareri, le motivazioni, le argomentazioni sui fatti storici. Questo fatto pone il discorso sulla composizione dell'opera di Tucidide. L'autore stesso dice, in apertura, che cominciò a scrivere subito dopo lo scoppio del conflitto. Molti critici, però, notando le caratteristiche del V libro, indicano lì una frattura, per cui l'autore avrebbe dapprima composto i primi 4 libri (la guerra decennale) poi il VI e il VII sulla spedizione siciliana, e solo allora, conscio della continuità dei due eventi, li avrebbe raccordati col V e continuati fino alla sua morte con l'VIII.
All'interno dell'opera di Tucidide è possibile riconoscere un'evoluzione spirituale dell'autore, dal rigore scientifico dei primi libri a un più ardente desiderio di comprensione storica nell'ultimo. Il suo impegno all'imparzialità urta con alcune evidenti sue simpatie per personaggi come Pericle e la sua ostilità per altri come Cleone; però il rigore del suo metodo è superiore a quello di qualsiasi altro storico antico.
Esaminando i fatti della guerra peloponnesiaca, Tucidide ha creduto di scorgere delle leggi di comportamento degli uomini e degli Stati, sotto l'oscurità e la varietà degli eventi. Nei fatti umani egli non invoca la presenza del volere divino; indica la necessità di progetti operativi razionali, a cui peraltro sempre possono sfuggire dei fattori imponderabili: è quella che Tucidide chiama "tyche" e che non è una Fortuna di natura divina, ma il limite della razionalità e del calcolo umano.
In questo senso, la politica appare a Tucidide come un regno di calcolo dell'utile, anche se qua e là traspare un atteggiamento etico e la condanna per l'assenza della giustizia nei rapporti umani. Gran parte di queste idee si colgono soprattutto in quella parte della storia di Tucidide che è appunto dedicata a lunghi discorsi o a dispute fra i protagonisti della guerra o gli ambasciatori delle città .
Questi discorsi costituiscono anche la parte più retorica, di chiara ispirazione sofistica, dell'opera.
Lo stile di Tucidide contiene un singolare miscuglio di concisione, talvolta persino oscura, e di elaborazione retorica; ha la coloritura delle scritture arcaiche e poetiche, asprezza di costrutti e rapida secchezza, ma mostra anche un abile uso degli artifici della sofistica, abbondanza di astratti, di sentenze, di effetti vari.
Tucidide è certamente uno dei primi e dei maggiori prosatori greci. Il suo metodo storico e stilistico influenzò scrittori posteriori come Tacito e alimentò una larga schiera di ammiratori anche fra i politici.
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editus ab
La vita
Le notizie più certe sulla vita di Tucidide si ricavano direttamente dalla sua opera; altre, però, sono state tramandate da due biografie di scarso valore. Suo padre, forse di origine tracia, si chiamava Oloro ed era un cittadino molto facoltoso per il possesso di miniere d'oro.
Eletto nel collegio degli strateghi nel 424 a.C., Tucidide fu inviato a difendere l'Egeo settentrionale, ma non riuscì a salvare Anfipoli, nella Penisola Calcidica, dall'attacco dello spartano Brasida. Per questo motivo venne esiliato da Atene e non vi tornò che 20 anni dopo, quando la guerra con Sparta era ormai finita.
Tucidide morì pochi anni dopo il rientro in patria, verso il 395 a.C..
L'opera
L'opera di Tucidide consiste di 8 libri e non ha un titolo vero e proprio. L'argomento è la guerra detta "del Peloponneso", fra Sparta ed Atene, guerra che si propagò anche in altri territori, come ad esempio la Sicilia.
Tucidide, prendendo le mosse molto più addietro, descrive le condizioni originarie dei Greci e la formazione delle diverse città attraverso un lungo processo storico, cercando "la certezza" delle notizie. Per gli avvenimenti contemporanei si serve di ricerche personali e di testimonianze autentiche; per quelli passati, quando non esistono documenti, usa la congettura per arrivare ad una probabilità , se non alla certezza. Nel fornire successivamente le cause dello scoppio della guerra, Tucidide dà un'altra importante distinzione fra le cause occasionali, da ricercare soprattutto nel contrasto tra Corcira e Corinto, e la causa vera della rottura della pace, che fu la necessità per Sparta di bloccare l'eccessivo accrescimento della potenza ateniese.
Col II libro, e con l'anno 431 a.C., inizia la narrazione vera e propria dell'argomento. Il libro comprende 3 anni di guerra; alla fine del primo anno è posto il famoso discorso di Pericle per i caduti; segue l'altrettanto famosa descrizione della peste che colpì Atene (e di cui fu affetto lo stesso Tucidide).
Altri 3 anni sono narrati nel III e nel IV libro, mentre continua l'invasione spartana dell'Attica e avviene quella della Calcidica, e varie operazioni sono condotte dagli Ateniesi nelle isole.
Il V libro narra la Pace di Nicia, che doveva durare 50 anni. Tucidide, però, approfondendo la sua analisi, mostra come essa fosse la semplice interruzione (per 6 anni, quanti in effetti durò la pace) di una contesa che anzi andava sempre più allargandosi. Nel V libro lo storico descrive, fra l'altro, l'azione ateniese contro la piccola isola di Melo e sottolinea in quell'episodio brutale la logica e la dinamica di una potenza imperialistica. Il VI e VII libro, tra i più celebrati dell'opera, sono dedicati alla spedizione ateniese contro Siracusa durante gli anni 415-413 a.C. e alla sua tragica conclusione.
L'VIII libro mostra le conseguenze della guerra del Peloponneso, con le varie defezioni degli alleati e alcuni eventi favorevoli ad Atene, che sembrano ridare corpo alle sue speranze di ripresa. Al capitolo 109 di questo libro l'opera si interrompe; ed è anche da notare che il libro stesso, a differenza di quelli che lo precedono, con l'eccezione del V, manca di discorsi diretti, tipico espediente tucidideo per esporre i pareri, le motivazioni, le argomentazioni sui fatti storici. Questo fatto pone il discorso sulla composizione dell'opera di Tucidide. L'autore stesso dice, in apertura, che cominciò a scrivere subito dopo lo scoppio del conflitto. Molti critici, però, notando le caratteristiche del V libro, indicano lì una frattura, per cui l'autore avrebbe dapprima composto i primi 4 libri (la guerra decennale) poi il VI e il VII sulla spedizione siciliana, e solo allora, conscio della continuità dei due eventi, li avrebbe raccordati col V e continuati fino alla sua morte con l'VIII.
Giudizio
All'interno dell'opera di Tucidide è possibile riconoscere un'evoluzione spirituale dell'autore, dal rigore scientifico dei primi libri a un più ardente desiderio di comprensione storica nell'ultimo. Il suo impegno all'imparzialità urta con alcune evidenti sue simpatie per personaggi come Pericle e la sua ostilità per altri come Cleone; però il rigore del suo metodo è superiore a quello di qualsiasi altro storico antico.
Concezione della storia.
Esaminando i fatti della guerra peloponnesiaca, Tucidide ha creduto di scorgere delle leggi di comportamento degli uomini e degli Stati, sotto l'oscurità e la varietà degli eventi. Nei fatti umani egli non invoca la presenza del volere divino; indica la necessità di progetti operativi razionali, a cui peraltro sempre possono sfuggire dei fattori imponderabili: è quella che Tucidide chiama "tyche" e che non è una Fortuna di natura divina, ma il limite della razionalità e del calcolo umano.
In questo senso, la politica appare a Tucidide come un regno di calcolo dell'utile, anche se qua e là traspare un atteggiamento etico e la condanna per l'assenza della giustizia nei rapporti umani. Gran parte di queste idee si colgono soprattutto in quella parte della storia di Tucidide che è appunto dedicata a lunghi discorsi o a dispute fra i protagonisti della guerra o gli ambasciatori delle città .
Questi discorsi costituiscono anche la parte più retorica, di chiara ispirazione sofistica, dell'opera.
Stile
Lo stile di Tucidide contiene un singolare miscuglio di concisione, talvolta persino oscura, e di elaborazione retorica; ha la coloritura delle scritture arcaiche e poetiche, asprezza di costrutti e rapida secchezza, ma mostra anche un abile uso degli artifici della sofistica, abbondanza di astratti, di sentenze, di effetti vari.
Tucidide è certamente uno dei primi e dei maggiori prosatori greci. Il suo metodo storico e stilistico influenzò scrittori posteriori come Tacito e alimentò una larga schiera di ammiratori anche fra i politici.
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