IPPONATTE di Efeso (550-500 circa a.C.)
il genio della parodia
Uno dei poeti più interessanti della Grecia arcaica è indubbiamente Ipponatte di Efeso, un poeta giambico, che potrebbe essere definito, senza paura di smentita, lo spirito più irriverente e mordace che l'umanità abbia mai avuto, il re dell'invettiva, il genio della parodia. Chi gli può stare alla pari? È difficile trovare un autore che gli somigli! Forse si potrebbe citare il poeta alessandrino Eroda … questi, infatti, oltre a descrivere un mondo simile a quello rappresentato da Ipponatte, nel suo ottavo mimiambo (mimo in giambo) rivendica per sé addirittura il merito e l'onore di essere suo degno successore.
Ipponatte, in ogni modo, piace, è simpatico ed è vicino a chi lo legge perché è un poeta spontaneo ed immediato, anche se violento. La sua non sembra essere poesia, bensì un racconto di vita vissuta, di una realtà amara che un destino beffardo si diverte a rendere sempre più dura.
Scarse sono le notizie che abbiamo su Ipponatte, poeta giambico vissuto nella seconda metà del VI secolo a.C.. Si sa solo che, bandito dalla natia Efeso per la sua opposizione ai tiranni della città , andò in esilio a Clazomene. Probabilmente era di famiglia ricca e questo lo si può dedurre dal suo nome che contiene la radice "ippos" (cavallo). Si ritiene, infatti, che essendo il possesso di un cavallo dimostrazione di ricchezza, tutti i nomi che facessero riferimento a questo animale indicassero uno stato di ricchezza o almeno agiatezza in chi lo portasse (Filippo, Ippolito, e altri). A giudicare dai suoi versi nei quali lamenta spesso la sua povertà , però, il poeta sembra che abbia condotto una vita grama e misera che, per altro, descrive molto bene.
Ci risulta che Ipponatte abbia scritto due libri di giambi (scazonti) dei quali ci sono giunti circa 180 frammenti.
Nella poesia di Ipponatte vediamo un mondo diverso da quello esposto dai poeti precedenti, diverso anche da quello di Archiloco di Paro. Ipponatte descrive una realtà finora esclusa dalla poesia, un mondo gaglioffesco e molto realistico, fatto di ladri, delinquenti, prostitute, ma anche di povera gente alla quale manca tutto. Il suo spregiudicato realismo si spinge a volte fino alla trivialità ; lo spirito mordace che anima i suoi versi è spesso irriverente e presenta vicende o ambienti volgari con il cinismo di una satira amara e scurrile. Secondo una leggenda, con i suoi attacchi avrebbe costretto al suicidio due scultori che avevano messo in caricatura il suo fisico infelice.
Ipponatte non sembra descrivere un mondo inventato molto realisticamente. Si potrebbe, con maggiore possibilità di avvicinarci alla verità , affermare che dà l'idea di attingere alla vita vissuta: spesso nel suo verso si nota la sofferenza e la rabbia per l'essere povero ("ti prego, vienimi in aiuto; ho un freddo maledetto,") o la cattiveria verso il nemico (sia esso uomo: "mangiando il pane della schiavitù" e "batta i denti come un cane giacendo per lo sfinimento" concludendo con "questi mali vorrei che incontrasse chi mi offese …", sia esso divinità : "Pluto è un nume vigliacco"). Questi sentimenti sembrano davvero sorgere dall'intimo e non essere frutto solo di una finzione poetica.
Le persone schernite da Ipponatte sono una piccola folla: incontriamo lo scultore Bupalo ("tenetemi il mantello: che io colpisca l'occhio di Bupalo") e suo fratello Atenide, il pittore Mimne, il ciarlatano Cicone ed i suoi compari Codalo e Babi, la dama Kypsò, che potrebbe richiamare Kalypso, ma anche l'avverbio kybda "a capo chino" e a questo punto …. l'allusione ad un'attività di prostituta è chiara.
Bisogna dire, però, che Ipponatte non è solo volgare o, almeno, dimostra di non appartenere a quel mondo che descrive ed in cui ora vive. Nei suoi versi, infatti, ci sono anche insegnamenti e pensieri gentili ("Chi si sposa per affetto, nella consorte avrà non la padrona, ma una cara compagna di lavoro ...").
Anche per Ipponatte, in ogni caso, vale quanto detto per Archiloco ed i poeti giambici in generale: colpisce i modelli negativi affinché non vengano imitati.
Ipponatte scrisse nel dialetto ionico dell'Asia Minore e usò come metro caratteristico il trimetro giambico con uno spondeo in luogo dell'ultimo giambo, il cosiddetto ipponatteo o coliambo o scazonte (vale a dire zoppicante) del quale è ritenuto tradizionalmente l'inventore.
Ipponatte ebbe notevole fortuna in età ellenistica quando fu molto studiato ed apprezzato. Teocrito, che poté leggere tutta la sua opera, lo definì "terrore dei malvagi".
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editus ab
il genio della parodia
Uno dei poeti più interessanti della Grecia arcaica è indubbiamente Ipponatte di Efeso, un poeta giambico, che potrebbe essere definito, senza paura di smentita, lo spirito più irriverente e mordace che l'umanità abbia mai avuto, il re dell'invettiva, il genio della parodia. Chi gli può stare alla pari? È difficile trovare un autore che gli somigli! Forse si potrebbe citare il poeta alessandrino Eroda … questi, infatti, oltre a descrivere un mondo simile a quello rappresentato da Ipponatte, nel suo ottavo mimiambo (mimo in giambo) rivendica per sé addirittura il merito e l'onore di essere suo degno successore.
Ipponatte, in ogni modo, piace, è simpatico ed è vicino a chi lo legge perché è un poeta spontaneo ed immediato, anche se violento. La sua non sembra essere poesia, bensì un racconto di vita vissuta, di una realtà amara che un destino beffardo si diverte a rendere sempre più dura.
La vita
Scarse sono le notizie che abbiamo su Ipponatte, poeta giambico vissuto nella seconda metà del VI secolo a.C.. Si sa solo che, bandito dalla natia Efeso per la sua opposizione ai tiranni della città , andò in esilio a Clazomene. Probabilmente era di famiglia ricca e questo lo si può dedurre dal suo nome che contiene la radice "ippos" (cavallo). Si ritiene, infatti, che essendo il possesso di un cavallo dimostrazione di ricchezza, tutti i nomi che facessero riferimento a questo animale indicassero uno stato di ricchezza o almeno agiatezza in chi lo portasse (Filippo, Ippolito, e altri). A giudicare dai suoi versi nei quali lamenta spesso la sua povertà , però, il poeta sembra che abbia condotto una vita grama e misera che, per altro, descrive molto bene.
Le opere
Ci risulta che Ipponatte abbia scritto due libri di giambi (scazonti) dei quali ci sono giunti circa 180 frammenti.
Giudizio
Nella poesia di Ipponatte vediamo un mondo diverso da quello esposto dai poeti precedenti, diverso anche da quello di Archiloco di Paro. Ipponatte descrive una realtà finora esclusa dalla poesia, un mondo gaglioffesco e molto realistico, fatto di ladri, delinquenti, prostitute, ma anche di povera gente alla quale manca tutto. Il suo spregiudicato realismo si spinge a volte fino alla trivialità ; lo spirito mordace che anima i suoi versi è spesso irriverente e presenta vicende o ambienti volgari con il cinismo di una satira amara e scurrile. Secondo una leggenda, con i suoi attacchi avrebbe costretto al suicidio due scultori che avevano messo in caricatura il suo fisico infelice.
Ipponatte non sembra descrivere un mondo inventato molto realisticamente. Si potrebbe, con maggiore possibilità di avvicinarci alla verità , affermare che dà l'idea di attingere alla vita vissuta: spesso nel suo verso si nota la sofferenza e la rabbia per l'essere povero ("ti prego, vienimi in aiuto; ho un freddo maledetto,") o la cattiveria verso il nemico (sia esso uomo: "mangiando il pane della schiavitù" e "batta i denti come un cane giacendo per lo sfinimento" concludendo con "questi mali vorrei che incontrasse chi mi offese …", sia esso divinità : "Pluto è un nume vigliacco"). Questi sentimenti sembrano davvero sorgere dall'intimo e non essere frutto solo di una finzione poetica.
Le persone schernite da Ipponatte sono una piccola folla: incontriamo lo scultore Bupalo ("tenetemi il mantello: che io colpisca l'occhio di Bupalo") e suo fratello Atenide, il pittore Mimne, il ciarlatano Cicone ed i suoi compari Codalo e Babi, la dama Kypsò, che potrebbe richiamare Kalypso, ma anche l'avverbio kybda "a capo chino" e a questo punto …. l'allusione ad un'attività di prostituta è chiara.
Bisogna dire, però, che Ipponatte non è solo volgare o, almeno, dimostra di non appartenere a quel mondo che descrive ed in cui ora vive. Nei suoi versi, infatti, ci sono anche insegnamenti e pensieri gentili ("Chi si sposa per affetto, nella consorte avrà non la padrona, ma una cara compagna di lavoro ...").
Anche per Ipponatte, in ogni caso, vale quanto detto per Archiloco ed i poeti giambici in generale: colpisce i modelli negativi affinché non vengano imitati.
Lingua e stile
Ipponatte scrisse nel dialetto ionico dell'Asia Minore e usò come metro caratteristico il trimetro giambico con uno spondeo in luogo dell'ultimo giambo, il cosiddetto ipponatteo o coliambo o scazonte (vale a dire zoppicante) del quale è ritenuto tradizionalmente l'inventore.
Fortuna
Ipponatte ebbe notevole fortuna in età ellenistica quando fu molto studiato ed apprezzato. Teocrito, che poté leggere tutta la sua opera, lo definì "terrore dei malvagi".
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