ISOCRATE (436 - 338 a.C.)
Isocrate fu definito da Cicerone un retore, più che un oratore nel senso vero della parola, perché non parlò mai in pubblico e per l'Arpinate il vero oratore è solo chi con la parola domina e convince. Molti dei suoi discorsi, in realtà , sono degli opuscoli destinati alla lettura.
Isocrate nacque nel 436 a.C. ad Atene. Suo padre era proprietario di una fabbrica di strumenti musicali e lo allevò con ogni cura, mandandolo a scuola da Gorgia da Lentini che faceva pagare ad alto prezzo le sue lezioni.
Perduta la maggioranza dei beni per colpa della guerra del Peloponneso, per rifarsi e per vivere, Isocrate si diede alla professione molto redditizia di logografo, ma non ebbe fortuna perché già imperava Lisia. Allora, sempre in Atene, aprì una scuola di retorica che divenne molto famosa e dalla quale usciranno gli oratori Iseo, Iperide e Licurgo, gli storici Teopompo ed Eforo di Cuma, il poeta tragico Teodette, il politico Timoteo. Fu così che per mezzo del suo insegnamento, nonostante si tenesse lontano dagli uffici pubblici (perché un'innata timidezza ed una voce troppo debole gli avevano impedito di potersi dare alla vita politica dove gli sarebbe piaciuto eccellere), Isocrate riuscì ad influire sull'opinione pubblica del suo tempo e comunque egli si batté per un'azione politica che portasse all'unificazione dell'Ellade, pur mantenendo ogni città , nel complesso, libertà ed autonomia.
Isocrate morì nel 338 a.C., di fame, perché rifiutò di nutrirsi dopo che Filippo di Macedonia il 1.9.338 aveva battuto a Cheronea le forze capitanate da Atene; è tradizione che sia morto proprio il giorno della sconfitta. Forse la verità è che una malattia gli impedisse di nutrirsi.
Delle 60 orazioni che gli antichi attribuivano ad Isocrate, ce ne restano 21 di cui 6 giudiziarie e 15 epidittiche.
Delle orazioni epidittiche ricordiamo "Contro i sofisti", nella quale indica quanti si atteggiano a saggi (Platone) ed i falsi maestri di eloquenza. Rimprovera ai filosofi di voler insegnare la felicità pur non possedendola ed ai maestri di eloquenza di dare lezioni a tutti, anche a chi non avesse predisposizioni naturali. Inoltre afferma il concetto secondo cui il maestro deve offrire agli allievi come modello se stesso.
Di solito Isocrate impiegava molto tempo per scrivere un'orazione e molte volte, all'atto della pubblicazione, il contenuto non era più attuale. Comunque ricordiamo ancora il Panegirico, un discorso politico il cui iter compositivo durò circa 10 anni (dal 390 al 380 a.C.), che contiene tutti i concetti basilari di Isocrate. Egli propugna la concordia di tutti i greci che vorrebbe organizzati in una confederazione di stati autonomi sotto la guida di Atene. Solo in questo modo, infatti, i greci avrebbero potuto organizzare una grande spedizione militare per sconfiggere il potente impero persiano. Fa, inoltre, un'originale distinzione tra barbari e greci: il barbaro non è chi non è greco, bensì chi ha carenza di cultura, e così il greco è colui che possiede una certa cultura. Questo ideale umanistico della cultura, attraverso i latini, sarà poi trasmesso alla civiltà del Medioevo e del Rinascimento.
Nell'Areopagitico Isocrate lancia un attacco alla democrazia in nome della democrazia stessa. Questa, secondo l'oratore, era diventata confusionaria e dava modo di accedere alle cariche pubbliche anche agli incapaci. Isocrate, perciò, propone di ritornare alla legislazione vigente ai tempi di Clistene e Solone; di dare, cioè, tutti i poteri all'Areopago (da cui il titolo dell'orazione). Egli è quindi per una democrazia molto ristretta, quasi in senso oligarchico: riconosce certamente l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge, ma non vuole che tutti governino.
Possiamo ricordare anche l'"Antidosis". Ai tempi in cui visse Isocrate, i contributi per le triarchie e le coregie erano richieste solo ai cittadini più ricchi. Chi veniva richiesto del contributo, però, poteva addossarlo ad uno più ricco di lui; nel caso che quest'ultimo rifiutasse, il primo poteva chiedere lo scambio del patrimonio. Isocrate, fingendo di doversi difendere da un certo Lisimaco in un processo di permuta, trova modo di narrare la sua vita e come sia vissuto sempre ligio ai doveri.
Intanto Isocrate scrive anche orazioni minori, nelle quali afferma che Atene lo ha deluso e non merita più la supremazia e che, facendosi incombente la minaccia persiana, i greci si dovrebbero mettere da parte le discordie interne e trovare l'unità nazionale: sono il "Filippo" (346 a.C.) e il "Panatenaico", nei quali difende l'idea di una coalizzazione greca sotto Filippo per muovere guerra alla Persia.
Tra le altre opere abbiamo il Plataico, scritto idealmente per essere letto nell'assemblea ateniese dopo la distruzione di Platea da parte dei Tebani nel 373 a.C. e Sulla pace (355 a.C.), a sostegno dell'antico tribunale ateniese dell'Areopago.
Tra le orazione epidittiche (dimostrative di una tesi) due vogliono costituire dei modelli di encomi: "Elogio di Elena", difesa della moglie infedele di Menelao, e "Busiride", per un mitico re egiziano crudelissimo.
Si hanno, infine, le esortazioni "A Nicocle", re di Salamina, il discorso "Ad Archidamo" e l'elogio funebre del re Evagora.
Ad Isocrate sono attribuite anche alcune lettere, indirizzate a vari sovrani.
Isocrate ha il grande merito di aver perfezionato la prosa greca, elaborando uno stile che fu modello per tutti gli scrittori seguenti, non solo greci ma anche romani. Alla sua base è il periodo costruito con ampiezza e con armonia di tutti gli elementi che lo compongono, intorno al concetto e alla proposizione principale. Difetto capitale di un simile modo di procedere è però la sua artificiosità e il senso di sazietà che genera nel lettore.
L'oratore, in ogni modo, nelle sue orazioni è limpido ed i suoi ampi periodi hanno una grazia piacevole, anche se talvolta si nota il lungo studio per la ricerca di un'armonia complessa; ma questa è varia e mai monotona. Dobbiamo, però, distinguere le vere orazioni dai lavori che si possono definire opuscoli o retorici o morali o di propaganda politica. Per definire le prime ci serviamo di un'immagine di Cicerone: "la scherma con i bastoni", cioè esercitazioni eleganti, ma prive della forza e del coraggio di chi si lancia armato nella mischia. I secondi non hanno più niente di eloquenza e dobbiamo giudicarli come i nostri "saggi".
Complessivamente la prosa di Isocrate ci diletta per la sua squisita fattura, anche se non sempre questa fornisce agli argomenti tanto calore da convincere e possedere.
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editus ab
Isocrate fu definito da Cicerone un retore, più che un oratore nel senso vero della parola, perché non parlò mai in pubblico e per l'Arpinate il vero oratore è solo chi con la parola domina e convince. Molti dei suoi discorsi, in realtà , sono degli opuscoli destinati alla lettura.
Vita
Isocrate nacque nel 436 a.C. ad Atene. Suo padre era proprietario di una fabbrica di strumenti musicali e lo allevò con ogni cura, mandandolo a scuola da Gorgia da Lentini che faceva pagare ad alto prezzo le sue lezioni.
Perduta la maggioranza dei beni per colpa della guerra del Peloponneso, per rifarsi e per vivere, Isocrate si diede alla professione molto redditizia di logografo, ma non ebbe fortuna perché già imperava Lisia. Allora, sempre in Atene, aprì una scuola di retorica che divenne molto famosa e dalla quale usciranno gli oratori Iseo, Iperide e Licurgo, gli storici Teopompo ed Eforo di Cuma, il poeta tragico Teodette, il politico Timoteo. Fu così che per mezzo del suo insegnamento, nonostante si tenesse lontano dagli uffici pubblici (perché un'innata timidezza ed una voce troppo debole gli avevano impedito di potersi dare alla vita politica dove gli sarebbe piaciuto eccellere), Isocrate riuscì ad influire sull'opinione pubblica del suo tempo e comunque egli si batté per un'azione politica che portasse all'unificazione dell'Ellade, pur mantenendo ogni città , nel complesso, libertà ed autonomia.
Morte
Isocrate morì nel 338 a.C., di fame, perché rifiutò di nutrirsi dopo che Filippo di Macedonia il 1.9.338 aveva battuto a Cheronea le forze capitanate da Atene; è tradizione che sia morto proprio il giorno della sconfitta. Forse la verità è che una malattia gli impedisse di nutrirsi.
Opere
Delle 60 orazioni che gli antichi attribuivano ad Isocrate, ce ne restano 21 di cui 6 giudiziarie e 15 epidittiche.
Contro i Sofisti
Delle orazioni epidittiche ricordiamo "Contro i sofisti", nella quale indica quanti si atteggiano a saggi (Platone) ed i falsi maestri di eloquenza. Rimprovera ai filosofi di voler insegnare la felicità pur non possedendola ed ai maestri di eloquenza di dare lezioni a tutti, anche a chi non avesse predisposizioni naturali. Inoltre afferma il concetto secondo cui il maestro deve offrire agli allievi come modello se stesso.
Panegirico
Di solito Isocrate impiegava molto tempo per scrivere un'orazione e molte volte, all'atto della pubblicazione, il contenuto non era più attuale. Comunque ricordiamo ancora il Panegirico, un discorso politico il cui iter compositivo durò circa 10 anni (dal 390 al 380 a.C.), che contiene tutti i concetti basilari di Isocrate. Egli propugna la concordia di tutti i greci che vorrebbe organizzati in una confederazione di stati autonomi sotto la guida di Atene. Solo in questo modo, infatti, i greci avrebbero potuto organizzare una grande spedizione militare per sconfiggere il potente impero persiano. Fa, inoltre, un'originale distinzione tra barbari e greci: il barbaro non è chi non è greco, bensì chi ha carenza di cultura, e così il greco è colui che possiede una certa cultura. Questo ideale umanistico della cultura, attraverso i latini, sarà poi trasmesso alla civiltà del Medioevo e del Rinascimento.
Aeropagitico
Nell'Areopagitico Isocrate lancia un attacco alla democrazia in nome della democrazia stessa. Questa, secondo l'oratore, era diventata confusionaria e dava modo di accedere alle cariche pubbliche anche agli incapaci. Isocrate, perciò, propone di ritornare alla legislazione vigente ai tempi di Clistene e Solone; di dare, cioè, tutti i poteri all'Areopago (da cui il titolo dell'orazione). Egli è quindi per una democrazia molto ristretta, quasi in senso oligarchico: riconosce certamente l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge, ma non vuole che tutti governino.
Antidosis
Possiamo ricordare anche l'"Antidosis". Ai tempi in cui visse Isocrate, i contributi per le triarchie e le coregie erano richieste solo ai cittadini più ricchi. Chi veniva richiesto del contributo, però, poteva addossarlo ad uno più ricco di lui; nel caso che quest'ultimo rifiutasse, il primo poteva chiedere lo scambio del patrimonio. Isocrate, fingendo di doversi difendere da un certo Lisimaco in un processo di permuta, trova modo di narrare la sua vita e come sia vissuto sempre ligio ai doveri.
Orazioni minori
Intanto Isocrate scrive anche orazioni minori, nelle quali afferma che Atene lo ha deluso e non merita più la supremazia e che, facendosi incombente la minaccia persiana, i greci si dovrebbero mettere da parte le discordie interne e trovare l'unità nazionale: sono il "Filippo" (346 a.C.) e il "Panatenaico", nei quali difende l'idea di una coalizzazione greca sotto Filippo per muovere guerra alla Persia.
Tra le altre opere abbiamo il Plataico, scritto idealmente per essere letto nell'assemblea ateniese dopo la distruzione di Platea da parte dei Tebani nel 373 a.C. e Sulla pace (355 a.C.), a sostegno dell'antico tribunale ateniese dell'Areopago.
Tra le orazione epidittiche (dimostrative di una tesi) due vogliono costituire dei modelli di encomi: "Elogio di Elena", difesa della moglie infedele di Menelao, e "Busiride", per un mitico re egiziano crudelissimo.
Si hanno, infine, le esortazioni "A Nicocle", re di Salamina, il discorso "Ad Archidamo" e l'elogio funebre del re Evagora.
Lettere
Ad Isocrate sono attribuite anche alcune lettere, indirizzate a vari sovrani.
Stile
Isocrate ha il grande merito di aver perfezionato la prosa greca, elaborando uno stile che fu modello per tutti gli scrittori seguenti, non solo greci ma anche romani. Alla sua base è il periodo costruito con ampiezza e con armonia di tutti gli elementi che lo compongono, intorno al concetto e alla proposizione principale. Difetto capitale di un simile modo di procedere è però la sua artificiosità e il senso di sazietà che genera nel lettore.
L'oratore, in ogni modo, nelle sue orazioni è limpido ed i suoi ampi periodi hanno una grazia piacevole, anche se talvolta si nota il lungo studio per la ricerca di un'armonia complessa; ma questa è varia e mai monotona. Dobbiamo, però, distinguere le vere orazioni dai lavori che si possono definire opuscoli o retorici o morali o di propaganda politica. Per definire le prime ci serviamo di un'immagine di Cicerone: "la scherma con i bastoni", cioè esercitazioni eleganti, ma prive della forza e del coraggio di chi si lancia armato nella mischia. I secondi non hanno più niente di eloquenza e dobbiamo giudicarli come i nostri "saggi".
Complessivamente la prosa di Isocrate ci diletta per la sua squisita fattura, anche se non sempre questa fornisce agli argomenti tanto calore da convincere e possedere.
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